Olio EVO: cala la produzione in Italia. Confagricoltura: più informazione e promozione per salvare la filiera nazionale

Aumenta la produzione di olio, ma non in Italia: il nostro Paese, stando alle ultime stime di campagna, perde un terzo dei quantitativi rispetto allo scorso anno e chiude il 2024 con circa 224mila tonnellate di olio di oliva (-32%).

Nel bacino mediterraneo la produzione globale sarà maggiore del 30% e del 12% rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Per effetto dell’alternanza produttiva, ma anche dei cambiamenti climatici, il nostro Paese per la prossima campagna sarà il quinto produttore al mondo dopo Spagna, Turchia, Tunisia e Grecia.

Oltre a una minore produzione generale di olive, quest’anno i produttori italiani, tranne in alcune zone, hanno dovuto scontare una resa in olio fra le più basse mai registrate. L’appello di Confagricoltura in occasione della giornata mondiale dell’olivo è di salvaguardare il giusto valore della filiera, che vede ancora costi di produzione elevati e in particolare di frangitura, ma anche evitare speculazioni e mantenere a un livello adeguato il prezzo minimo. Il mercato, infatti, non remunera adeguatamente il produttore: dai 9.9 Euro/kg dello scorso anno si è passati in questi giorni ad alcuni scambi dell’olio extravergine italiano a 7.8 Euro/kg.

“L’Italia è il Paese olivicolo con più biodiversità al mondo, con oli EVO di altissima qualità, unici per proprietà organolettiche e analitiche di cui si deve tenere conto: non si può ridurre tutto a un mero calcolo algebrico – dice Walter Placida, presidente della Federazione Olivicola Olearia di Confagricoltura -. Mai come in questa stagione il prodotto italiano assume un connotato di rarità e prestigio; mai come in questa stagione, falcidiata in termini produttivi da un’alternanza esasperata e da eventi climatici acuti, va riconosciuto il giusto pregio all’EVO italico. Dobbiamo prestare attenzione alle speculazioni e ai tentativi di quotazioni al ribasso, richiamando alla responsabilità tutti gli attori della filiera, con il supporto delle istituzioni”.

In quest’ottica, ad avviso di Confagricoltura, sarà di aiuto anche implementare efficaci azioni di controllo sugli oli in commercio, soprattutto di provenienza estera, per accertarne l’origine e la qualità. Queste azioni, unitamente a una corretta informazione al consumatore, sono di vitale importanza per la tutela e sviluppo del prodotto olio extravergine di oliva italiano.

Non dimentichiamo poi, aggiunge la Confederazione, che alcune zone in cui la coltivazione dell’olivo è secondaria rispetto ad altri comparti produttivi sono sovente aree di grande vocazione turistica: l’eventuale abbandono o incuria degli uliveti causerebbe un grave danno economico all’intero territorio.

“Oltre alla necessità di attivare specifiche campagne informative ed educative sulle peculitarità dell’olio di oliva italiano – conclude Placida – riteniamo utile attivare percorsi di consumo guidato nella ristorazione e nei consueti canali di distribuzione organizzata. Una maggiore consapevolezza della qualità del nostro prodotto non può che rafforzare il comparto”.

Leggi

Turismo, Agriturist (Confagricoltura): ombre e luci sulle vacanze estive

“Buio inframmezzato da luci”. Questo l’andamento per i mesi di luglio e dei primi giorni di agosto riassunti da Augusto Congionti, presidente di Agriturist, l’associazione di Confagricoltura che ha dato il nome all’agriturismo in Italia. 

“Dopo i mesi di maggio e giugno veramente positivi ci aspettavamo un’estate da boom. Purtroppo, così non è per diverse ragioni. Tutto il settore turistico paga innanzitutto l’andamento climatico, a cui si aggiunge l’aumento dei costi, l’inflazione, il caro benzina e quello dei biglietti per chi viaggia in treno o in aereo. Per quanto riguarda le nostre strutture – osserva Congionti – tengono quelle vicine alle città d’arte; gli agriturismi vicini alle coste restano piuttosto in linea con lo scorso anno, ma man mano che ci si allontana verso l’interno la situazione peggiora. Sul territorio nazionale si passa da un -10% registrato a luglio a un -30%, senza calcolare le aree colpite dall’alluvione o da altre calamità”. 

“A salvare la stagione sono senz’altro gli stranieri che dall’Europa e dall’estero hanno deciso, numerosi, di scegliere i nostri agriturismi per le vacanze. Sono due le considerazioni che vengono subito in mente e ci devono far riflettere – sottolinea Congionti – da un lato l’effetto Covid, che spingeva gli italiani verso spazi verdi, natura e buon cibo è finito, e si è ritornati a concorrere con mete estere competitive come Grecia, Croazia e Albania; dall’altro, per le famiglie, le incognite sul futuro sono ancora troppe. I giorni di vacanza si contraggono, si opta per situazioni economicamente sostenibili e si prenota per fine agosto o settembre”.

In Italia le aziende agrituristiche attive sono più di 25.000 e oltre il 60% dei Comuni italiani ne ospita almeno una. Quasi la metà offre almeno tre servizi e più di una su tre è condotta da un’imprenditrice. Dalla Liguria al Veneto, dalla Toscana alle Marche, dalla Campania all’Abruzzo, dalla Puglia alla Calabria, alla Sicilia alla Sardegna, l’agroambiente, grazie al lavoro degli imprenditori agricoli, non solo è quello più esteso, ma mantiene vitali i territori rurali. Non è un caso che l’84% degli agriturismi sia in aree collinari e montane e solo il 16% in pianura.

“Riconosciamo – conclude il presidente di Agriturist – al piano strategico di sviluppo del turismo l’attenzione a diffondere quello dei borghi e delle campagne, ma guardando al futuro, ritengo sia giusto fare quadrato e unire l’intero comparto con le diverse realtà che lo compongono, per costruire offerte differenziate sul territorio che possano decongestionare le città nei periodi critici, come lo scorso luglio, proponendo pacchetti che permettano conoscere e apprezzare anche le infinite bellezze dell’Italia rurale”.

Vi aspettiamo dall’8 al 10 settembre a Lucignano per il Festival Nazionale dei Borghi e al TTG Expo di Rimini dall’11 al 13 ottobre, dove saremo presenti con un nostro spazio.

Leggi

Ovinicoltura, una filiera da quasi un miliardo di euro: in Italia 135mila allevamenti e circa 7,4 milioni di capi

Per quanto venga spesso considerato marginale, il settore ovicaprino riveste un ruolo strategico per l’economia zootecnica del nostro Paese. L’intera filiera vale quasi  un miliardo di euro annui tra produzione di latte e carni, con un totale di 135mila allevamenti e circa 7,4 milioni di capi.

“Riconoscendo il valore del settore e con l’intenzione di sostenerlo, quest’anno abbiamo deciso di introdurre il tema dell’ovinicoltura con gli Stati Generali dell’ovinicoltura italiana all’interno delle Fiere Zootecniche Internazionali, in programma a Cremona dall’1 al 3 dicembre – dichiara Roberto Biloni, Presidente di CremonaFiere -. Ritenevamo importante completare l’offerta della fiera zootecnica, per questo abbiamo inserito il settore ovino e stiamo costruendo le basi per un importante lavoro di promozione della filiera a partire dall’incontro del prossimo 2 dicembre”.

Agli Stati Generali dell’ovinicoltura italiana (2 Dicembre Fiera di Cremona, sala Amati, ore 16.30) prenderanno parte Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura;  Riccardo Crotti,  Presidente della Libera di Cremona; Angela Saba, Presidente della FNP Allevamenti Ovicaprini di Confagricoltura; Gianni Maoddi, Presidente Consorzio di Tutela Pecorino Romano DOP; Carlo Santarelli, Presidente del Consorzio Pecorino Toscano DOP; Marcello Mele, Università Pisa Dipartimento Alimentazione Agricoltura e Ambiente; il Sindaco di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna; Gennaro Giliberti, Dirigente Agricoltura Regione Toscana; gli imprenditori Tiziano Iulianella e DinoCartoni. Moderatore: Vincenzo Lenucci, direttore Politiche di Sviluppo Economico – Confagricoltura nazionale.

“Purtroppo anche il settore ovicaprino sta vivendo una difficile congiuntura a causa dell’aumento dei costi di produzione e delle quotazioni insoddisfacenti – spiega Angela Saba – che, sebbene in aumento, non consentono di coprire i maggiori costi, soprattutto a causa dei rincari per mangimistica ed energia. Una manifestazione come la Fiera di Cremona rappresenta il luogo ideale per meglio far conoscere il valore di questo settore in aree dove ad oggi ancora rimane poco sviluppato e per promuovere scambi di conoscenza e partenariati che possono rafforzare il comparto”.

L’Italia ha un ruolo determinante nella produzione ovicaprina a livello europeo: il nostro Paese è al primo posto per produzione di formaggi a base di latte di pecora, al terzo per la produzione di latte ovino dietro Grecia e Spagna e al settimo posto per la produzione di cani ovicaprine. A livello nazionale, la metà dei capi allevati oggi sono in Sardegna e lì si concentra quasi la metà del valore della produzione di carne e latte; il resto del patrimonio ovicaprino e della relativa produzione è localizzato tra Sicilia, Toscana e Lazio ed in misura minore Calabria, Basilicata e poi nel resto d’Italia.

 

 

Le Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona – da Giovedì 01 a Sabato 03 Dicembre 2022 –  sono l’unico appuntamento fieristico internazionale specializzato in Italia sulla zootecnia ad alta redditività e rappresentano lo strumento più efficace per fare network con i protagonisti del settore agroalimentare. L’edizione 2021 delle Fiere Zootecniche Internazionali ha confermato Cremona come una delle principali capitali mondiali per il settore, che rilancia quest’anno con l’evento zootecnico internazionale più importante di sempre in Italia: 650 capi iscritti da 120 allevamenti da 8 paesi, oltre all’esposizione di servizi e attrezzature e soluzioni per la zootecnia che occupa l’intero quartiere fieristico.

Leggi

Giornata Mondiale dell’Olivo, Confagricoltura: innovare per rendere più competitivo questo importante patrimonio tricolore

“Nella Giornata mondiale dell’olivo, che si celebra il 26 novembre, è necessario richiamare l’attenzione su un comparto di grandissimo valore ambientale, paesaggistico, storico e culturale”. Lo afferma Walter Placida, presidente della FNP Olio di Confagricoltura.

L’Italia è il primo Paese importatore e il secondo esportatore mondiale di olio, con circa il 15% della produzione complessiva. La superficie olivetata italiana si estende su 1.1 milioni di ettari, in gran parte in Puglia, Calabria e Sicilia, ma la produzione olivicola in diverse regioni italiane raggiunge livelli qualitativi eccellenti.

L’annata 2022/2023 si presenta come particolarmente scarsa in termini di volumi a livello nazionale ed europeo. Nel nostro Paese la produzione non raggiunge 230 mila tonnellate, con un calo del 30% dovuto agli effetti dell’alternanza produttiva, delle alte temperature e in alcune aree per l’attacco della mosca dell’olivo.

I numeri della filiera italiana raffigurano comunque un comparto di tutto rispetto: 3.3 miliardi di fatturato (con un peso sull’agroalimentare del 2.2%), 640 mila imprese olivicole, circa 5.000 frantoi e 220 imprese industriali.

Nella Giornata mondiale dell’olivo è giusto evidenziare la forte integrazione del comparto con il territorio e la ruralità, rivestendo un ruolo primario nella tutela e nella valorizzazione delle produzioni locali. Sono circa 50 i riconoscimenti DOP e IGP, che rappresentano quasi la metà di quelli complessivamente registrati nell’Unione europea, con un valore di 91 milioni di euro (in crescita del 27%).

Anche l’indotto legato all’oleoturismo sta assumendo un’importanza crescente in termini culturali, sociali ed economici.

“A fronte di cali di volume così drastici di quest’annata – afferma Placida – gli olivicoltori devono sostenere gli aumenti dei costi degli input produttivi: fertilizzanti, irrigazione, manodopera, molitura, materiali per il confezionamento. Preoccupa l’andamento del mercato, incerto e instabile, unito al timore che i notevoli aumenti dei costi non vengano adeguatamente assorbiti dalla distribuzione”.

“Queste criticità contingenti, insieme alle carenze strutturali più volte sottolineate da Confagricoltura, sono legate alla poca competitività del settore. Occorre attivare con urgenza – conclude Placida – azioni per ridurre i costi dei fattori di produzione e dare slancio al comparto. Tra gli obiettivi, in primis, segnaliamo il rinnovamento delle strutture in campo e nella fase di trasformazione. Non di minore importanza è l’opportunità di incidere sul cuneo fiscale per restituire attrattività e competitività al comparto e individuare strategie funzionali che privilegino il prodotto interno (italiano) garantendone la giusta remuneratività per tutti gli attori della filiera”.

Leggi

Vendemmia, Confagricoltura: calano i volumi, ma sulla qualità vince chi ha lavorato bene in vigna.

Giorni cruciali per il settore vitivinicolo. Se in alcune zone d’Italia la vendemmia è già in corso, eventuali piogge entro Ferragosto potrebbero essere decisive per definire l’annata 2022: siamo nel momento dell’ultima maturazione delle uve, che hanno sofferto l’estrema siccità della stagione.

 

Le prime considerazioni raccolte da Confagricoltura concordano su un calo generalizzato dei livelli quantitativi di almeno il 10%, più accentuato laddove ci sono state grandinate, mentre sulla qualità, mai come quest’anno si conferma determinante l’attenta gestione agronomica del vigneto.

 

Dal 2003, l’annata che ha segnato la svolta climatica con conseguenze evidenti sulle produzioni, l’intero settore primario e il suo indotto investono affinché il comparto vitivinicolo possa affrontare senza gravi conseguenze gli effetti del cambiamento climatico. Quindi, anche di fronte a stagioni difficili come questa, la qualità non sarebbe in discussione.

 

Preoccupano tuttavia le fitopatie. In Piemonte si segnala un aumento dei casi di Flavescenza Dorata, mentre nel Nord della regione, un’invasione di Popillia Japonica ha defogliato estese aree vitate. La vendemmia è iniziata in anticipo per le basi spumanti in alcune zone dell’Astigiano e dell’Alessandrino. Per il Moscato si partirà intorno al 20 agosto. Sui rossi oggi impossibile fare previsioni attendibili, ma c’è ottimismo.

 

In Liguria l’assenza di precipitazioni fa stimare un calo dei volumi dal 20%, con punte fino al 40%, e gradazioni alte.

 

In Lombardia la produzione potrebbe calare di oltre il 20%, soprattutto in alcune zone in cui ha grandinato. In una parte dell’Oltrepò Pavese, a causa di un evento meteo straordinario, ci sarà un calo di oltre il 60% del raccolto.

 

In Veneto i vigneti senza irrigazione sono in una situazione drammatica a cui si unisce la problematica della Flavescenza dorata in particolare per i bianchi. Il calo produttivo si attesterà sul 10%.

 

In Friuli la situazione vendemmiale si divide in base alla tipologia di terreni. In quelli più drenanti ghiaiosi, lo stress irriguo è maggiore, perché la forte evapotraspirazione ha limitato l’efficacia dell’irrigazione. Sulle varietà precoci si iniziano ad avere i primi arresti di maturazione da calore. Con meno acqua calerà non solo la qualità, ma anche la resa. Nei vigneti sui terreni più pesanti, invece, i danni saranno minori.

 

In Trentino, nelle aree di fondovalle, non si evidenziano situazioni di stress, in quanto i vigneti hanno a disposizione sufficiente dotazione idrica. I vigneti di Pinot grigio e Chardonnay coltivati in queste zone non dovrebbero avere risentito del clima, se non marginalmente. Diversa è la situazione per i vigneti in pedecollina e collina: nelle vigne che hanno subito stress idrico si nota un ridotto sviluppo degli acini, con possibile calo produttivo. Saranno fondamentali un’attenta e oculata gestione delle fasi di vinificazione, a partire dalla pressatura e dalla selezione dei mosti, che consentiranno di mantenere elevata la qualità delle produzioni.

 

Vendemmia anticipata in Emilia-Romagna. Le stime attestano un drastico calo del raccolto nelle aree collinari con una flessione produttiva
stimata nell’ordine del 25-30% in quanto risulta più difficile irrigare, ma a soffrire è anche la restante viticoltura in pianura, minacciata dalla carenza della risorsa idrica per le irrigazioni di soccorso e da fitopatie sempre più invasive. Qui la flessione si stima almeno del 10%.

 

In Toscana la totale assenza di piogge su quasi tutta la regione da circa tre mesi non consente di individuare facilmente l’andamento produttivo della vendemmia 2022 anche dal punto di vista qualitativo. Oltre alla perdita di peso dei grappoli, lo stress idrico sta limitando l’invaiatura in molte zone. Tutto dipenderà dalle piogge, sempre che arrivino in tempo.

 

In Umbria si stima un calo del 20%, ma, come in altre regioni, per i rossi è ancora presto fare previsioni attendibili.

 

Nelle Marche la situazione è molto variegata, a macchia di leopardo. In alcune zone il vigneto tiene abbastanza bene, in altre c’è un forte stress idrico già da fine luglio. Ci si aspetta una diminuzione di circa il 20% dei volumi rispetto alla media.

 

Nelle zone dell’Abruzzo in cui non si è potuto irrigare si potrebbe arrivare ad un decremento dei volumi produttivi delle uve del 20%. Laddove, al contrario, si è potuto irrigare, le prospettive quanti qualitative per l’annata sono ottime. Da considerare l’aumento dei costi di produzione.

 

In questa fase domina anche nel Lazio l’incertezza climatica che può far evolvere la stagione in estremamente positiva per quantità e qualità, o molto negativa per ambedue gli aspetti. Purtroppo le previsioni pendono per la seconda ipotesi.

 

In Molise l’andamento vendemmiale è nella norma. In termini quantitativi le aziende che potevano ricorrere all’irrigazione di soccorso non sono in grande sofferenza. I vigneti in asciutta hanno qualche problema, in particolare di blocchi vegetativi.
La qualità per le varietà precoci sarà buona, per quelle tardive occorre aspettare come evolverà la situazione. Dal punto di vista fitosanitario si registra solo qualche episodio di oidio sulle varietà sensibili.

 

Il territorio vitato della Campania è molto variegato anche sotto il profilo del clima. Difficile quindi, come per altre grandi regioni, un’unica previsione di vendemmia. Ad oggi si stimano valori produttivi in linea con l’ultimo quinquennio, ma se non pioverà nelle prossime settimane si potrebbero avere perdite fino al 10%.

 

In Calabria l’annata asciutta si presenta buona dal punto di vista fitosanitario. Mancano ancora oltre 15 giorni alla vendemmia delle prime uve, e quasi 40 per le altre più tardive. Si aspetta qualche pioggia di giusta intensità per aumentare un po’ in volume i grappoli. Per chi ha avuto la possibilità dell’irrigazione di soccorso, la situazione è ottimale.

 

La Basilicata alta è quasi del tutto priva di irrigazione e rappresenta il 70% del potenziale produttivo: avrà cali del 25%, mentre per la restante parte del territorio regionale si conta di avere una produzione in crescita del 15%, perché irrigua. Anche in Basilicata vendemmia in anticipo.

 

La Puglia è divisa: è iniziato in questi giorni il raccolto delle uve precoci, ma per la gran parte della vendemmia manca ancora un mese. La produzione in aridocoltura (soprattutto Salento) stima un calo del 20%, mentre è nella norma quella con irrigazione.

 

In Sicilia si vendemmia dagli ultimi giorni di luglio sul livello del mare, con le varietà internazionali. Le abbondanti piogge autunnali hanno riempito gli invasi. Chi ha vigneti irrigui si è difeso bene dal caldo degli ultimi 50 giorni e prevede una buona qualità. In generale, comunque, la diminuzione è dell’ordine del 10%. La vendemmia si protrarrà fino a fine ottobre, pertanto il caldo e le piogge potranno ancora influenzare le attuali previsioni.

 

In Sardegna, anche se il mese di agosto sarà determinante, si prospetta una buona annata per quantità e qualità. Buone notizie anche dal fronte fitosanitario, perché la scarsità delle piogge non ha favorito la diffusione delle malattie della vite, quali peronospora e oidio. La mancanza d’acqua è stata in parte compensata dall’umidità, pertanto sia per i bianchi, sia per i vini rossi, le previsioni al momento sono rosee.

 

Da Nord a Sud incide comunque l’aumento dei costi di produzione. E ad influire sul mercato ci saranno anche le giacenze.

 

“In prospettiva, alla luce della situazione economica attuale, – afferma il presidente della Federazione Nazionale Vino di Confagricoltura, Federico Castellucci – è ragionevole immaginare nel medio periodo un rallentamento del mercato del vino con minori scambi in volume e valore più contenuto. I consumatori potrebbero cominciare a rallentare l’acquisto di beni non di prima necessità, come il vino, anche nella grande distribuzione organizzata”.

 

La migliore reazione per il settore vitivinicolo italiano – secondo Confagricoltura – è essere ancora più concentrati sui mercati di esportazione, sia europei, sia di Paesi Terzi, come USA, Canada, ma anche del Sud Est asiatico, dove il nostro Paese è molto competitivo per il buon rapporto qualità/prezzo e per l’estrema varietà di prodotto, che da sempre è il punto di forza della nostra viticoltura.

 

“La consolidata immagine del vino italiano, sostenuta da opportune campagne di comunicazione, – conclude Castellucci – dovrebbe permetterci di affrontare positivamente questa sfida a livello internazionale”.

Leggi

La Sicilia è la regione più “bio” d’Italia: tutti i numeri

La Sicilia è la più “bio” tra le regioni italiane: infatti è quella con il maggior numero di aziende certificate (ben 9444). A seguire la Calabria (7978) e la Puglia (6873). Palermo, con le sue 1609 azienda è la sesta provincia italiana e la prima in Sicilia. La maggiore attenzione alla qualità dei prodotti alimentari è l’input che spinge le aziende a produrre in modo più naturale e trasparente.

Le aziende italiane con certificazione “bio” sono circa 60mila, di cui 24mila accreditate dal sistema di certificazione nazionale solo negli ultimi tre anni. Da qualche giorno la mappatura, costantemente aggiornata, degli operatori con certificazione Bio è ancora più accessibile grazie all’inserimento delle informazioni nelle visure camerali. All’inizio di dicembre 2017, le imprese in possesso di una certificazione Bio erano 59.461.

Si tratta perlopiù di realtà localizzate nel Mezzogiorno (il 55,8%), più del doppio di quelle con sede al Nord (il 23,4%) e quasi tre volte quelle del Centro Italia (il 20,8%). Più della metà (il 56%) delle imprese certificate si concentra in sole cinque regioni con la Sicilia in testa (15,9), seguita dalla Calabria (13,4), dalla Puglia (11,6), dalla Toscana e dall’Emilia Romagna (7,7).

I numeri del biologico italiano fotografano un settore che si è fortemente trasformato e potenziato negli ultimi anni, passando da tendenza rivolta a mercati di nicchia a vero e proprio stile di vita per milioni di consumatori italiani. Al tempo stesso, il biologico sta rivestendo un ruolo sempre più importante come opportunità di rilancio per molte aziende del nostro agro-alimentare.

Mentre nell’agricoltura tradizionale ogni anno numerose imprese chiudono i battenti, il settore del biologico sta andando in controtendenza, a dimostrazione che anche aziende di dimensioni più piccole, grazie all’applicazione dei principi dell’agricoltura biodinamica, possono stare con successo sul mercato. Le aziende che svolgono esclusivamente produzione Bio sono 44.482 (il 75% dell’universo delle certificate) e di esse una su tre ha sede in due sole regioni del Mezzogiorno: Calabria o Sicilia.

Approfondendo l’analisi delle imprese Bio per forma giuridica, l’11% (6.490) è costituito da società di capitale. Di queste, oltre il 90% è una PMI ovvero con un volume d’affari uguale o inferiore ai 50 milioni di euro. Più della metà (il 55,2%) rientra nella definizione di micro impresa (con un fatturato non superiore ai 2 milioni di euro), e la metà ha un capitale sociale inferiore ai 50mila euro.

Leggi