Export, Confagricoltura: in Cina la carne suinicola italiana

Le prime spedizioni per la Cina di carni suine congelate italiane possono finalmente partire. Infatti le autorità cinesi hanno valutato positivamente il certificato sanitario nazionale, che è l’ultimo adempimento del lungo negoziato del nostro governo con Pechino, avviato in occasione della visita in Italia del presidente Xi Jinping a marzo scorso e che Confagricoltura ha fortemente sostenuto per la sua valenza.

“Questa, per il nostro Paese, è una vittoria di sistema – ha detto Giovanna Parmigiani, componente della Giunta di Confagricoltura che si occupa del settore suinicolo -. Quando istituzioni e rappresentanza lavorano con un comune obiettivo, si raggiungono risultati importanti”.

“Abbiamo vivamente caldeggiato l’apertura del mercato cinese alle carni suinicole italiane perché dà grandi opportunità al settore ed a tutto l’agroalimentare made in Italy – ha proseguito Parmigiani -. Rappresenta pure un importante segnale di distensione che, tra l’altro, arriva proprio nel momento in cui, invece, si sta inasprendo la guerra commerciale tra Usa e Cina”.

“L’export di carne suina non è un fatto a sé stante, ma – ha infine messo in evidenza la rappresentante di Confagricoltura –  fa da apripista all’esportazione di altri importanti prodotti zootecnici italiani, a partire dalla carne bovina”.

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Giansanti: “Con nomina Boris Johnson auspichiamo uscita regolata della Gran Bretagna dalla Ue”

“Con la prossima nomina di Boris Johnson a Primo Ministro, continuiamo ad auspicare un recesso ordinato del Regno Unito dalle Ue, il 31 ottobre prossimo. Ribadisco ancora una volta che la hard Brexit sarebbe lo scenario peggiore possibile per il settore agroalimentare italiano ed europeo”. Il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ha così commentato i risultati della consultazione che si è conclusa ieri, per la nomina del successore della signora May.

“Il mondo agricolo europeo è assolutamente compatto nell’auspicare un’uscita regolata del Regno Unito – ha proseguito Giansanti -. Anche l’associazione degli agricoltori britannici (Nfu) è di quest’avviso, che è stato ribadito da ultimo in una lettera inviata ai candidati alla guida del Partito conservatore”.

“L’uscita senza regole del Regno Unito comporterebbe una grave alterazione dei consolidati scambi commerciali, per effetto del rispristino dei dazi e dei controlli alle frontiere. E i nostri prodotti a indicazione geografica e di qualità perderebbero ogni tutela sul mercato britannico”, ha sottolineato il presidente di Confagricoltura.

La presidente nominata della nuova Commissione europea ha dichiarato nei giorni scorsi di non essere pregiudizialmente contraria ad una ulteriore proroga della data di recesso del Regno Unito.

“Quella della signora von der Leyen è una dichiarazione molto importante sotto il profilo politico. Ogni sforzo va fatto per scongiurare i rischi di una hard Brexit. C’è bisogno di un periodo transitorio, come previsto nell’intesa bocciata dalla Camera dei Comuni. E di un accordo sulle future relazioni commerciali tra Unione europea e Regno Unito, per consolidare il flusso degli scambi nel settore agroalimentare”, ha concluso Giansanti.

Confagricoltura ricorda che le vendite annuali del “Made in Italy” agroalimentare sul mercato britannico ammontano a 3,4 miliardi di euro e circa il 30% è rappresentato da prodotti a indicazione geografica e di qualità. E’ il quarto mercato di sbocco a livello mondiale dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Vini, con il Prosecco in prima fila, formaggi, pasta, conserve di pomodoro e olio d’oliva sono prodotti più apprezzati dai consumatori del Regno Unito.

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Agroalimentare siciliano in crescita grazie all’export: giro d’affari da 1,2 miliardi

I dati sull’agroalimentare siciliano dell’Industry Book, analisi condotta dal Corporate Marketing di UniCredit

In Sicilia il contributo dell’agroalimentare al Pil è pari al 5,3%. Il numero di imprese attive nel Food & Beverage è pari a 7.844 (dati al 30 giugno 2018) e il valore dell’export è pari a circa 1,2 miliardi di euro.

Anche in Sicilia è stata la domanda estera a sostenere il settore: le esportazioni sono cresciute in dieci anni del 68%, con un tasso medio annuo del 4,8%: il contributo maggiore è venuto dal F&B, le cui vendite all’estero sono aumentate del 73% contro il 63% dell’agricoltura.

Sono alcuni dei dati rilevati dall’Industry Book, analisi condotta dal Corporate Marketing di UniCredit sulla base di dati macroeconomici e analisi di bilancio delle imprese, presentato giovedì a Catania nel corso del Forum delle Economie Agrifood, organizzato da UniCredit, per stimolare il confronto e individuare strategie di sviluppo coinvolgendo associazioni di categoria e, soprattutto, aziende del comparto e buyer stranieri.

I mercati di sbocco dell’export sono in aumento ma ancora troppo concentrati: i primi quattro (Francia, Germania, Stati Uniti e Svizzera) assorbono infatti oltre il 50% dell’export totale.

La Sicilia è la prima regione italiana per superficie agricola dedicata al biologico (427.294 ettari su totale nazionale 1.908.653) e numero di operatori (11.626 su totale nazionale di 75.873). L’incidenza percentuale delle superfici biologiche sul totale delle superfici coltivate supera il 30% (31,1% contro una media nazionale del 15,4%).

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Jefta, accordo Ue-Giappone opportunità per export olio, pomodoro, pasta, vini, carni e formaggi

“Grazie all’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Giappone, siglato oggi dal premier giapponese Shinzo Abe, dal presidente del Consiglio UE Donald Tusk e dal presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, le esportazioni agroalimentari comunitarie verso il Paese del Sol levante potrebbero aumentare sensibilmente per i cibi trasformati”. Così il coordinatore di Agrinsieme Franco Verrascina, sulla base di elaborazioni statistiche dell’esecutivo comunitario, esprimendo soddisfazione per i contenuti dell’accordo bilaterale, che offre grandi possibilità di crescita e semplificazione per l’export nazionale.

“Il Jefta, acronimo che sta per Japan-EU Free Trade Agreement, è stato firmato oggi in occasione del summit Ue-Giappone di Tokyo, e sarà ora esaminato dal Parlamento Europeo e dalla Dieta nazionale, l’organo legislativo del Giappone; se approvato entro la fine dell’anno da entrambi i parlamenti entrerà in vigore all’inizio del 2019”, ricorda il coordinamento che riunisce Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari.

Il Giappone è il quarto mercato in ordine di grandezza per le esportazioni agricole comunitarie, che hanno un valore venti volte superiore a quello delle esportazioni giapponesi nell’UE; il Paese, inoltre, si presenta come un mercato ‘ricco’, caratterizzato da consumatori molto esigenti, continuamente alla ricerca di prodotti di nicchia e di assoluta qualità e che hanno finora mostrato grande interesse nei confronti dell’eccellenza del Made in Italy agroalimentare”, fa notare Agrinsieme.

“Il Giappone è il sesto maggior partner commerciale dell’Italia al di fuori dell’Unione Europea, con un surplus commerciale di 2,4 miliardi di Euro: l’Italia, infatti, esporta verso il Paese del Sol levante beni per circa 6,6 miliardi di Euro, a fronte di importazioni per 4,2 miliardi. Tra i prodotti agroalimentari più esportati ci sono il vino, l’olio d’oliva, il pomodoro, la pasta e l’aceto”, evidenzia il coordinamento.

“Dall’accordo deriveranno inoltre evidenti benefici per le esportazioni di: vini, che attualmente scontano dazi del 15%, i quali saranno eliminati; carni suine, che hanno alte barriere tariffarie che verranno sensibilmente ridotte; carni bovine, il cui import sarà favorito senza modificare le norme comunitarie sul trattamento con ormoni e sugli Ogm; formaggi, che hanno dazi al 30-40%”, precisa Agrinsieme.

Con il Jefta, infine, verranno riconosciute oltre duecento indicazioni geografiche europee indicate dagli Stati membri, di cui 45 italiane (nello specifico 19 per prodotti agroalimentari e 26 per vino e alcolici) che rappresentano il 90% del valore dell’export agroalimentare delle denominazioni del nostro Paese, rendendo al contempo illegale la vendita di prodotti di imitazione; si tratta di un risultato positivo, anche se ci saremmo aspettati di più per il completo riconoscimento delle indicazioni geografiche”, conclude Agrinsieme.

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Agrinsieme è costituita dalle organizzazioni professionali Cia, Confagricoltura, Copagri e dalle centrali cooperative Confcooperative FedAgriPesca, Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital, a loro volta riunite nella sigla Alleanza Cooperative Italiane – Settore Agroalimentare. Il coordinamento Agrinsieme rappresenta oltre i 2/3 delle aziende agricole italiane, il 60% del valore della produzione agricola e della superficie nazionale coltivata, oltre 800mila persone occupate nelle imprese rappresentate.

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